lunedì 25 maggio 2009

9

Sono uno 0,9 che cerca di arraffare tutti i 9 che può per sembrare un 1 ed essere meglio allo stesso tempo.

martedì 19 maggio 2009

Un vecchio piccolo racconto

In una città lontana lontana, esisteva un gracile bambino silenzioso.
Egli era silenzioso perché tutti parlavano troppo e lui non faceva a tempo a rispondere a tutti quanti. Così aveva deciso che per tutta la sua vita avrebbe soltanto ascoltato.
Un bel giorno, il suo gatto, Scamandrio, si avvicinò a lui, mentre era seduto in camera sua, pensieroso e triste. Aveva cominciato a odiare la gente perché non lo capiva, odiava il mondo perché lui, non lo capiva. Il gatto attirò l’attenzione del bambino, che iniziò a fissarlo.
“Scommetto che ci sono tante cose belle che puoi dire.” Disse Scamandrio.
“Sono tutti troppo rumorosi. Le mie parole si perderebbero come polvere al vento.” Rispose.
“Non dire così, sono sicuro che c’è una cosa che vuoi dire.” Esortò il gatto. Ma vide che il bambino non rispose, allora chiese: “Non sei sorpreso che io sappia parlare?”
“No.” rispose il bambino.
“Eppure sono sempre stato zitto, come tutti gli animali.” Disse Scamandrio.
“Anche io sono sempre stato zitto, Scamandrio, ma come vedi, so parlare benissimo.” Rispose il bambino. Il gatto rimase zitto a lungo, riflettendo.
“Sono sicuro che c’è qualcosa che vuoi dire. Avanti, dillo!” esclamò il gatto.
Il bambino non rispose, ma il gatto capì che invece aveva molte cose da dire. O per lo meno, una, e molto chiara.
“Vieni con me” disse il gatto “ti porterò dove il mondo palesa.”
Allora il gatto si incamminò, silenzioso e inesorabile, uscendo dalla camera, seguito dal bambino, uscendo dalla casa, attraversando la strada. Entrarono in un piccolo bosco senza luce e senza rumore, dove una piccola grotta giaceva indisturbata sotto ai piedi del bambino e sotto le zampe del gatto.
“Buttati qui dentro” disse il gatto, indicando con la zampetta un buco tra le foglie secche.
Il bambino vi si buttò e il gatto parlò.
“Questa è la Stanza” disse “Chiedi qualcosa e sarà esaudito.”
“Io vorrei che morissero tutti.”
Ogni suono cessò. Il bambino uscì dalla grotta e corse in mezzo alla strada. Le macchine erano ferme, niente guidatore, le biciclette per terra, senza ciclista, le case erano vuote, i parchi erano vuoti, mai più l’ombra di un essere umano, eccetto quella del bambino, si sarebbe rovesciata al suolo. Egli corse, dappertutto, cercando, scoprendo mano a mano che l’umanità intera non esisteva più. Banche, palazzi, piscine, negozi, tutto vuoto. Non c’era più nessuno. Il bambino si sedette e si immerse nei suoi pensieri. Era soddisfatto di ciò che aveva chiesto.
Ma all’improvviso sentì una voce.
“Mi senti?” Chiese la voce di nessuno.
“Chi è?” Chiese il bambino, interdetto.
“Sono Dio! Per la miseria, sei il primo umano con cui riesco a parlare! C’era un tale fracasso…”

venerdì 8 maggio 2009

Il Mozzo #3

«Mozzo!»
«Comandi, Capitano!»
«Guarda le stelle e dimmi: quante sono?»
«Bella domanda! Cento?»
«Di più temo.»
«Mille?»
«Molte, molte di più.»
«Millemila mila?»
«Ora non farneticare mozzo, il punto è un altro: stiamo seguendo la rotta esatta?»
«Certo, verso la costellazione del Sagittario.»
«Sei sicuro?»
«Certo!»
«E dimmi, quale sarebbe?»
«Ah…eh…uhm…quella…quella là…lì…no…oddio che vergogna guardi proprio non lo so mi dispiace LA SCONGIURO NON MI BUTTI IN MARE!»
«No, no, anche perché, come puoi vedere, razza di idiota, ci siamo incagliati nella spiaggia di un’isola da stanotte e nessuno se n’è accorto.»

«Mozzo.»
«Eccomi qui!»
«Non so se hai notato che stiamo imbarcando acqua.»
«Signorsì Signore, ma ho prontamente fatto dei buchi nella chiglia per farla uscire.»
«Ah, e…


…uccidetemi.»

«Mozzo, catapultati qui.»
«Ci sono, signor Capitano!»
«Ripetimi ancora una volta dove stiamo andando.»
«Ci stiamo dirigendo verso il polo nord, signor Capitano!»
«Bene, e a far cosa?»
«A intraprendere vantaggiosi scambi commerciali.»
«Sì? Con chi?»
«Non lo so.»
«Certo che non lo sai! Non sai nemmeno che stella dobbiamo seguire.»
«…Era mica la stella polare?»

Ti sei perso [Parte #2 (Capitolo 4)]

Capitolo Quattro

Tutto sembra essersi rischiarato, ora, come quando ci si ridesta da un sogno. Essere lì, in riva al mare, su una spiaggia su cui non sei mai stato, ti è del tutto normale, anzi, hai la sensazione, meravigliosa, di essere tornato da un luogo remoto, attraverso un viaggio che non hai percorso, ma di cui hai raggiunto l’arrivo.
Seduto e accovacciato, con le braccia poggiate sulle ginocchia, giocherelli con le dita, mentre il tuo sguardo si smarrisce nell’orizzonte dell’oceano. Ed è adesso che maggiormente ti inebria lo sciabordare della risacca, e il sereno cantare dei gabbiani; e il leggero vento che scompiglia le frange delle palme.
E…la voce di lei, di nuovo lì.
Come dove? Girati! Guarda!

«Guarda. Puoi vedere il sole. Non è rilassante poterlo osservare a occhio nudo? È presto. La notte ha portato via la sua ombra solo da qualche minuto. E ora l’alba ci riscalda!»

«Nora…» provi a parlare, ma non lo fai. Non ne hai motivo. Non ne hai bisogno. Però l’idea che lei sia lì assomiglia tanto a un fuocherello che ti arde sotto il petto. Fissa il suo sguardo dove poco fa lo avevi anche tu, e torni a guardare. Sì, il sole è ancora assopito. Ma tra poco aprirà gli occhi, e la cosa più bella e splendente non sarà più esso stesso, ma tutto ciò che illumina. Compresa lei.
E cominci ad avvertire dell’angoscia, e non te lo sai spiegare. Pensandoci bene, la sua espressione non ti conforta. È insolitamente normale e gelida, al tempo stesso.

«Il mondo non mi piace più» disse Nora. «Cammini nel buio aspirando a quel piccolo brandello di luce che scorgi in lontananza, che devi schiacciare le palpebre per distinguere, che ti canzona, talmente ne sei dannatamente lontano, talmente ti è irraggiungibile, e sia ringraziato il Cielo, lo raggiungi, un giorno o l’altro; e con la facilità con cui volano via i petali di soffione, può sparire in un -soffio-. E il ritorno al passato non è semplicemente lo scendere da un pendio, ma una violenta caduta».

«Lo riconosco, qualcuno si diverte soffiare su piccoli semi alati, con noncuranza, beffardamente, ma è solo una chioma leggera quella che se ne vola via, e il gambo solido riesce a rimanere nella sua terra.
Ci sono cose che non si possono uccidere, ma solo addormentare; una di queste è il sorriso».

«Ma chi se ne importa del sorriso, non vedi che l’oceano…» cambiò espressione, e si fece quasi irritata, «…su cui navighiamo con queste zattere di legno marcio e tarlato, è costantemente riempito dal dolore dei nostri occhi? In ogni momento c’è qualcuno che piange…»

«In ogni momento c’è qualcuno che piange, e in ogni momento c’è qualcuno che ride. Non troverai mai bene e male, né in armonia, né in antitesi; piuttosto essi nascono e muoiono di continuo dentro ognuno di noi. Ogni buona azione può portare conseguenze negative, e chi può dire quante cose buone possono nascere anche da un delitto?»

«Ma perché dobbiamo essere così fragili, e calpestati! Stritolati da ciò che non sappiamo! Cosa bisogna fare per “esserci” davvero, per non sparire! IO NON VOGLIO SPARIRE!»

Non immaginavi che potesse rivelarsi così angosciata; era ciò che di più spensierato tu avessi mai incontrato sulla tua strada. E ora si sta riducendo quasi in pianti disperati per motivi così reconditi che, chiunque, dovrebbe avere ormai superato.
Ma non aspettare oltre, e dille ciò che le vuoi dire. Lei non sparirà mai, non è così?

«Sì, forse sparirai. E pensa quanto atroce sarebbe la tua vita se dovesse durare per sempre; e se fosse facile. Come hai detto tu stessa, dall’alto si cade facilmente, e il tonfo è sordo e doloroso. Ma più lunga e impervia è la risalita, più alta è la meta; e più grande è l’orizzonte e meraviglioso è, tutto il resto, da lassù.
Tu sei questo, Nora: sei vita grazie alla morte. Ed è nullo il potere che lei ha, quando a “sparire” è qualcosa che ormai si è insediato in altri, che essi a loro volta faranno germogliare in altri e altri ancora. Il tuo fiore non appassirà, Nora. Tutti i giorni la secchezza di quel fiore che s’apre in tutti, e quel buio, nascono, e perseverano, e tutti i giorni li sconfiggiamo, ce ne liberiamo, li soffochiamo, li imprigioniamo, e chi può dire quando la battaglia finirà, e chi può dire che un giorno questi “nemici” non si arrenderanno per conto loro? E chi può dire se a quel punto anche noi non saremo troppo vecchi e rinsecchiti, e inutili, per poter continuare a esistere facendone semplicemente e serenamente a meno?
No, la verità è solo che noi, noi due, siamo qui, e ora. E benché il futuro sia già qui, come puoi vedere, quel futuro è ancora giovane e muto; sta trattenendo il fiato, e, forse, si rimetterà a soffiare via i nostri leggerissimi petali quando saremo noi stessi ad esserne finalmente stanchi».

I suoi occhi si stanno scaldando, ora ti guardano. Non senti che qualcosa dentro di lei sta tremando? C’è un piccolo nascondiglio, in lei, dove una forza innata sta cercando di divincolarsi da pallide catene, dove un abbraccio era nel buio, e quel buio lo hai spazzato via. E ora puoi vedere solo i suoi capelli, e sentirla addosso, e non è così male. E il sole è di nuovo alto, e ora stai toccando qualcosa di splendente.

martedì 5 maggio 2009

#3

Nessuno vive abbastanza per vedere la propria morte.