domenica 12 aprile 2009

Ti sei perso [Parte #1 e forse ultima]

Capitolo Uno

Ti sei perso. Eri sicuro di conoscere la strada, eppure da quando hai cominciato a dubitare di essere sul sentiero giusto hai iniziato anche a perdere l’orientamento e quella tua convinzione di potere, di sapere tornare indietro è drasticamente evaporata. Che tu ti sia smarrito non è più una paura, ma una realtà imbarazzante e inattesa. Gli alberi intorno a te sono tutti uguali, non parlano ma tu sai che si stanno prendendo gioco di te, i rami sorridono, oscillano e ridono, le foglie volteggiano in una straziante tranquillità.
No, la strada deve essere qui, da qualche parte. Non hai camminato molto, no? Non puoi non ritrovare il sentiero, le antiche angosce dei tuoi genitori, dei genitori di chiunque, non possono trovare la loro realtà così, in un lampo, non ora che sei anche piuttosto cresciuto. Ti accorgi che dovrai cercare qualcuno, e ti vergogni un po’, e speri che quel qualcuno passi nelle vicinanze, tra i tronchi, e allora tu lo chiamerai e gli griderai:
«Scusi, mi sono perso, da che parte è la strada principale?»
No? No, forse è meglio togliere la parte in cui dici che ti sei perso, non è il massimo.
«Scusi, da che parte è la strada principale?»
Ma in fondo che differenza fa? Se non sai dov’è la strada è lampante che tu non sappia dove sei, quindi che tu ti sia smarrito. E allora capisci che devi abbandonarti alla condizione di impotenza e cercare disperatamente la strada con qualunque mezzo.

Aspetta, ricominciamo da capo, torna sui tuoi passi: dove stavi andando?
Non lo sai? Devi saperlo tu, sono tue le gambe. Ti hanno condotto fin qui da sole? Per conto loro?
…Forse stavi tornando a casa?
Qualunque cosa stessi facendo in questa foresta, vuoi tornare a casa, è chiaro, qualunque voglia di proseguire è svanita insieme al sentiero. Forse se camminassi in una sola direzione per un po’ di tempo, magari quella in cui il terreno sembra scendere, arriveresti a qualche punto di riferimento, una strada, in teoria, ma andrebbe bene anche un fiume, un ruscello, una capanna, un sentiero.

Ma in fin dei conti ti puoi rilassare, no? Insomma, ti aspetta per caso qualcuno?
No?
Allora hai tutto il tempo di riflettere sul da farsi. Sai che sei arrivato in questa foresta, sai che conoscevi perfettamente la strada, e poi d’un tratto gli alberi t’hanno tirato il brutto scherzo d’esser tutti uguali. Un’eventualità che potevi anche prevedere. Ma tu l’avevi prevista, non è così? Solo che errare è umano, e così ti giustifichi, ma ora l’importante è non perdere la calma. Questa situazione potrebbe perfino rivelarsi tutt’altro che una sconfitta.
Non era prevista, ma che importa? Lascia perdere tutto il resto, esci dalla vita e tuffati in qualcosa d’altro, qualcosa di più, qualcosa che forse è ancora più tuo e proprio di tutti; non hai vincoli, non hai orari, non hai limiti: la massima espressione della tua essenza si realizza in questa pineta.

Eppure non è libertà, quella che senti. Piuttosto un misto di angoscia e affanno: poiché non sai dove ti trovi esattamente e non riesci a lasciarti alle spalle la sensazione che se volessi tornare sui tuoi passi, in fondo, non ne saresti capace. Vorresti abbandonarti alla tempesta di sensazioni che ciò che è intorno a te, incontaminato, muto e assordante, ti trasmette.

Forza, non è difficile: per uscire da una palude è importante non agitarsi. Allo stesso modo, per venire a capo di un problema è bene essere superiori alle ansie e alle paure. Non che tu debba obbligatoriamente esserne estraneo, ma devi convivere con esse nella maniera più oggettiva e consapevole possibile. Abbandonati. Perditi. Tanto ti sei già perso, non farai molta fatica. Lasciati andare e cammina. La calma ti porterà dove la ragione avrà sollievo. Ma per adesso sei solo sensi; istinto; emozioni.

Ti senti un po’ animale?
No che non ti senti animale, trovi anzi che tralasciare ogni barlume di consueta ratio esalti la tua umana natura. Come è possibile tutto questo?
Non lo sai, ma in qualche modo è grazie a questa inusuale e ferina condizione che ti accorgi di riuscire a godere delle minime sensazioni, dell’altisonante silenzio sporco di fruscii, cinguettii, e i cric crac dei bastoncini sotto ai tuoi piedi.

Siediti e goditi questi istanti di sfacciata, legittima e piacevole noncuranza.
Non sarà un divano, ma le foglie sono morbide. Sedendoti hai in qualche modo dato il colpo di grazia alle tue angosce. Hai dato le chiavi all’insolente libertà e lei ha aperto la porta dietro la quale non potevi vederla.
Osservi e guardi ciò che vedi, senza limitarti ad assorbire passivamente; ti accorgi della straordinaria perfezione dei pini. Squadri il tronco, dalla corteccia ruvida, irregolare, sconnessa, muta, nuda, la chioma che si apre, come se volesse stendere le proprie braccia e far vedere a tutti quanto è straordinariamente semplice e complicato. È un peccato che nessuno si fermi mai a notarlo, ma a lui sembra non interessare; giorno e notte, vento o grandine, comunque vadano le cose, lui è lì, imperterrito, tenace, saggio.
Ogni tanto dalle foglie secche spunta qualche verde ciuffo d’erba, che si confonde in lontananza con alcuni sassi, vicino a dei tronchi marci, accatastati…vicino a un muro…di mattoni grigi…

Una casa? Possibile che tu non l’abbia notata prima?
No, non l’hai notata. Era nascosta dagli alberi. Ma ora l’hai scoperta e in meno di un secondo sei in piedi. Là troverai esattamente ciò che cercavi: qualcuno a cui chiedere dove sia la strada. Devi solo sperare che il boscaiolo esca di casa, non te la senti di importunare gli inquilini solo per chiedere informazioni.

Ti sei reso conto che in men che non si dica la tua possente quiete ha lasciato spazio alla speranza; forse le tue angosce erano soltanto zittite, come quando si toglie l’audio, ma erano ancora lì. Volevi negare che ci fossero e ti eri convinto che non ci fossero, ma allora come spieghi che tu sia contento di poter finalmente tornare a casa?



Capitolo Due


Stai cominciando a chiederti chi sono io?
Se non l’hai ancora fatto, lo farai ora, perché ho portato alla tua mente una questione che forse davi per scontata, da quando hai iniziato a leggere.
Fino ad ora ti sei inzuppato delle mie parole, inzaccherato delle tue sensazioni, che tue sono diventate per un elegante e misterioso processo; ti sei immerso nelle mie descrizioni, perfino quando descrivevo te stesso, perfino quando contro ogni razionalità e contro ogni possibilità di opposizione da parte tua, sapevo con esattezza cosa provavi.
È curioso, ma sei costretto a fare quello che io vedo fare da te. Sei costretto a pensare quello che io so che tu pensi. Sei libero, e sei schiavo.

Ma forse non ti interessa più di tanto. Sai solo che attraverso me stai vivendo qualcosa che è sia mio che tuo, ma più tuo che mio. E vuoi sapere se in quella casa c’è qualcuno.
Ti avvicini, un po’ titubante, forse, mentre la grigia costruzione dalle buie finestre si spoglia sempre più delle fronde che la coprivano.
Brutta storia, questa casa è più silenziosa del luogo più silenzioso tra tutti i luoghi meno rumorosi del mondo. E capita proprio a te, a cui serviva tanto qualcuno che ti desse indicazioni, e invece ti ritrovi davanti a una casetta nuda e testardamente sola.
Forse è il tuo destino vagare per questa foresta, senza il minimo obiettivo, senza meta, senza avere una scelta: puoi andare dove vuoi, ma in nessun posto, perché in nessun posto sapresti arrivare, se non in quello che i tuoi inconsapevoli passi saprebbero suggerirti se gli lasciassi dominare le tue gambe.
Sei solo sfortunato; di tornare alla tranquillità non se ne parla neanche: hai avuto l’illusione di poter trovare aiuto e ti è stato negato qualsiasi appiglio; forse è un segno che dovresti tornare a sederti tra le foglie e stringere a te quell’ormai vecchia celestiale noncuranza nei confronti di tutto e di tutti.
No, non fa per te, in fin dei conti. Vuoi tornare a essere quello che eri. Hai paura che abbandonare tutto, anche solo per un giorno, ti possa essere fatale, ti possa cambiare per sempre. Forse in peggio. Forse solo in qualcosa che non è te, e ti fa paura.

E ora che si fa?

Oh, forse qualcosa sta per cambiare. Non l’avresti mai detto vero?
Ma come, non lo senti?
*cric*
*crac*
Ah, ora te ne sei accorto.
*cric*
*crac*
Sono dei passi. Qualcuno è venuto a cercarti? Possibile?
*cric*
*crac*
Immediatamente vedi un cacciatore. Non è reale, non lo vedi sul serio, ma dietro quei passi tu ci vedi un cacciatore, e ti prepari già. Deve per forza essere un cacciatore. Gli urlerai:
«Ehi, mi sono perso, dove accidenti è la strada?»
E forse lo dirai in tono arrabbiato, così da dare a vedere che hai perso la pazienza e che sei stufo di vagare non solo tra foglie e tronchi, ma anche tra strani pensieri, strane idee e strane sensazioni.
Se ti avessero chiesto di provare a indovinare avresti detto di tutto: un cacciatore, uno stambecco, un orso, una lepre, un semplice cercatore di tartufi, ma…una ragazza?
Tu pensavi di essere del tutto abbandonato a te stesso e la provvidenza ti manda una ragazza? In un momento così, in un luogo così?

Vestita più di salvezza che di vestiti, ti vede e a quel punto non puoi più tirarti indietro.
Lei è sorpresa, ovviamente. L’hai notato? Eppure ti guarda, con quegli occhi scolpiti nello smeraldo, come se sapesse tutto di te, e che cosa ti sta succedendo in questo preciso istante. Ma è solo un’illusione. O forse no, ma non importa.

«Ciao!»
Ti dice. E inclina la testa da un lato, in un gesto che trovi più amichevole del saluto stesso, e ti senti al centro della sua attenzione, e scopri in un guizzo di timidezza che ne sei contento. Che cosa le dirai?

«Ciao…senti, sai mica da che parte è la strada?»
Va bene, però potevi fare di meglio, non credi?

«Ti sei perso anche tu?»
Chiede, ed esclama, meravigliata. E meravigliosa è la sua domanda.
Per un attimo decisamente difficile da misurare, molto più piccolo di un decimo di secondo, pensi che lei sia a conoscenza di tutto ciò che ti è accaduto e si stia prendendo gioco di te. Ma poi realizzi che questa è un’inusuale e curiosa coincidenza.
In un battibaleno ti rendi conto che non ha un viso sgradevole, anzi, probabilmente la sua espressione di allegra spensieratezza la rende più bella di quanto sia in realtà; Avrai una compagna, con cui potrai parlare di quest’avventura, che cercherai la strada di casa non da solo, non in un animalesco e nel contempo umanissimo contatto con la foresta, ma la foresta stessa sarà ciò che accomuna te e un tuo simile, una tua simile, un raggio di luce.
Sei rincuorato, ti senti riscaldato, ora sei quasi contento di esserti perso. Però ti chiedi come possa lei essere tanto tranquilla. Tu cerchi di sembrarlo, ma non lo sei, e sei sicuro che fuori deve essere evidente almeno quanto una mosca su un foglio bianco.

«Sì…non ho proprio idea di dove andare…»
Ammetti con un certo imbarazzo.

«Io sì, a dire il vero ho un’idea di dove siamo, in questa casa abitava mio nonno. Però non so da che parte andare…ma vedrai che usciamo da qui. Andiamo di là?»
Allora non era ovvio che sapesse dov’è la strada. Ti è andata bene.
Ti indica la casa, vuole andare da quella parte. Su, dille qualcosa. Hai scelta?

«Va bene».
Le sorridi. Ottimo lavoro.

Vi mettete in marcia e mentre camminate la osservi a piccole dosi, di tanto in tanto, di passo in passo; pensi a come ti ha sorriso appena vi siete incontrati. È una ragazza diversa; non è come quelle che hai conosciuto prima. Pensi che qualcosa ti lega a lei anche se fondamentalmente non ti attrae; ma devi almeno conoscerla per scoprirlo. Questa tua sensazione è nata in un modo talmente spontaneo che deve essere vera per forza.

Potresti intavolare un discorso, mentre vi fate largo tra i cespugli e i rami degli arbusti.
Che aspetti?
Non sai cosa dire?

«Come ti chiami?»
Ti chiede. È venuta in tuo aiuto prima che tu potessi fare qualunque cosa, anche se non l’hai chiesto, come se avesse udito ogni singolo tuo pensiero.
Te ne eri dimenticato, ma hai un nome anche tu, in fondo.
Nel pronunciarlo ti chiedi se sia un bel nome, ma in particolare ti chiedi se piaccia a lei; anche se sai che il tuo nome è da sempre un involucro vuoto che non ti rappresenta, o ti rappresenta solo in parte.

«Io sono Nora».
Ti guarda con un sorriso che le pervade tutto il volto. È insolitamente amichevole, e pura, di una naturalezza innaturale. E state conversando, senza che tu te ne sia accorto.

«Come mai qui?»
E la tua domanda mi pare sensata. Cosa ci fa una ragazza in un bosco, perduta, senza curarsene oltretutto più di tanto?

«Stavo facendo una passeggiata» Ride. «e poi ho perso la strada».

«Sì, anch’io…» Ricambi. «potremmo provare a…»

«Ti piacciono le nuvole?»
La prima cosa che pensi è immediata, ovvia: Ma che razza di domanda è? Così, apparentemente senza un perché, come se non avesse ascoltato una sola parola, o peggio, come se non gliene importasse affatto di te.
Dopo qualche secondo di esitazione, in cui la tua espressione è passata rapidamente da ebete a esterrefatto a incuriosito, provi a rispondere.
Aspetta! Prima di dire qualunque cosa, fermati e guarda in alto: c’è qualche nuvola bianca, ora, di quelle tutte riccioli che sembrano fatte di bambagia e neve, che stanno sospese immobili, come in un quadro dipinto con sostanze troppo dense, con colori troppo vivaci. I contorni sono qua e là rosati, sfumati di un arancione che grida l’arrivo della sera.
Innumerevoli volte ti sei fermato a guardarle; però ora ne sei incantato, e quasi non senti la tua stessa voce.

«Anche a me»
Ti risponde. E ti prende la mano.
Sei troppo impegnato a non sembrare stupido per accorgerti d’esserlo. Hai appena perso ogni cognizione di te stesso per far posto a un istinto temporaneo sostitutivo della tua personalità. Non ti stai nemmeno godendo la sua stretta: ti tiene come se non volesse lasciarti più. Ma come?
Così all’improvviso? È possibile che sia una ragazza così estroversa e senza timori?
Così incredibilmente spensierata? Non sa nemmeno dov’è, ma più che altro sembra non dare conto al fatto che nemmeno tu sai dove sei e vorresti tornare a casa.
Poco fa ti avevo convinto a perderti. Credi di poter riuscire a perderti di nuovo?
Lei ti ha fornito un mezzo per farlo: improvviso, ingiustificato, perfetto.
Senti la sua mano: sa esattamente dove sta andando, dove ti sta portando.
Camminate sulle radici degli alberi, sui cuscini di foglie, sui sassi, sul muschio, sui formicai, sui tronchi, saltellate qua e là, ogni tanto vi guardate e ridete.
Lei non ti ha colpito subito, o almeno non il viso. Hai composto una leggiadra, bizzarra e meravigliosa idea di lei, ti accorgi della sua bellezza interiore e di come sia riflessa nell’aspetto esteriore. Non è bella; è di più.
No, non più bella che bella, non è “bellissima”: è solo più che bella. Il che può anche essere qualcosa d’altro. Il suo viso è normale, è come quello di qualsiasi altra ragazza, ma è più bella della più bella tra le ragazze.

Ti sei perso di nuovo. Questa volta non perché non trovi il sentiero, questa volta perché non riesci a capire quello che senti. Sei ben consapevole che i suoi lineamenti sono meno angelici di quanto tu abbia visto in precedenza sul volto di altre persone; ma sei ancora più consapevole che grazie a ciò che c’è dietro di essi, sono ancora meglio. Non angelici, di più. È la tua persona ideale. E non riesci a capire come possa essere tutto questo.



Capitolo Tre

Ci sei riuscito. Hai dimenticato tutto perché la presenza di lei, le parole di lei, la sua voce, il suo viso, le foglie, l’aria, insieme, ti hanno portato via. Ne avevi paura, prima, eri incollato, libero ma immobilizzato. Lei ti ha fatto diventare voi due. E scopri che esprime te stesso meglio di quanto tu sapresti fare.

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